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venerdì 20 novembre 2009

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In una cittadina del Lazio, in via Galilei n.1, c'è una scuola, un liceo scientifico per la precisione.

In questo liceo scientifico tanta gente si è incontrata e poi salutata, e a volte ritrovata, come chi gestisce questo blog, il quale per altro non è stato aperto per parlare della scuola che sta in via Galilei n. 1.

Almeno non del tutto e non direttamente.

Questo blog è un posto che intende accogliere tutti quelli che vorranno scrivere o leggere di scuola e università, dell'apprendre e dell'insegnare, delle generazioni e dei loro diversi "supporti".

Nell’unico modo possibile

E’ una giornata caldissima di luglio e ho un appuntamento assurdo alle 2 del pomeriggio in una via di Roma solo asfalto e palazzi. Nell’attesa mangio qualcosa in un bistrò dall’aria fresca artificiale mentre discuto con Orazio Converso, in modo anche animato come ci capita di fare. Lui poi scuote la testa e dice: inutile discutere, con le persone bisogna fare - ma io non sono molto d’accordo, nella misura in cui la discussione mette in circolo le idee. Parliamo di scuola e non è strano, o forse sì.

E’ stato il mio insegnante di matematica al liceo e ci conosciamo da trentadue anni - ed è questa la cosa strana., perché la gente ci impiega molto meno tempo a perdersi, tanto che quando un legame resta, bisognerebbe piuttosto chiedersi come ha fatto a restare, per quale miracolo. Forse ci ha legato anche la scuola. Il suo mestiere, il mio mestiere, questo entusiasmo mai sopito per chi non è ancora del tutto adulto – per sua fortuna, e nostra

Io e Orazio abbiamo anche rischiato di “fare” qualcosa insieme per l’Università della Calabria, ma senza esito, e quindi io e lui ogni tanto di scuola “discutiamo”, senza trovarci d’accordo.

Il tema del contendere è l’uso della Rete a scuola, l’uso della tecnologia, o quello che ora si definisce l’uso delle ITC, più in generale il modo di fare scuola. Orazio lo ha per parte sua contestato e smontato trent’ anni fa, e ha non di certo cambiato idea proprio ora.

Avendo lavorato all’università, i ragazzi nuovi (antropologicamente mutati, come forse direbbe Pasolini, o nativi digitali, come ormai dicono tutti) lui li conosce bene.

Concorda con me che non sanno scrivere, o pensare, o organizzarsi, o avere un progetto, per lo più - che è un disastro. Eppure la sua soluzione non è immaginare una scuola che faccia meglio il suo mestiere di scuola con gli strumenti usati fino ad ora, ma quando mai.

Una scuola così era inutile trenta anni fa, ora è ridicola. La differenza è inoltre che ora un insegnante se non è stupido almeno ha la Rete e tutta la tecnologia che ci tiene in Rete. Lì c’è la vita, la libertà, ci sono i ragazzi e il loro potere di imparare ed essere, facendo. Che sto ancora io ad insistere con i libri, le lezioni trasmissive, gli appunti?

Aspetto che concluda e poi rispondo con la sua stessa veemenza.

Gli ho appena chiesto come usare un notebook in classe collegato in rete – un netbook mi ha corretto – e non dico che non abbia ragione, in parte. Dico che se i ragazzi sono buttati ad usare la Rete, e basta, dico che se la scuola rinuncia ad insegnare il pensiero logico-formale, dico che se facciamo a meno dei libri e di Gaio Valerio Catullo, i ragazzi usando la Rete ne resteranno succubi, saranno convenzionali, banali, incapaci di usare le parole, presi da pochi pensieri e sempre quelli.

Quindi il fatto è che io sono arrabbiatissima contro una classe politica – e un governo in particolare - che non riforma proprio un cavolo di niente, che non affronta il problema vero – la sostanza – che non ha un progetto culturale se non un generico efficientismo burocratico; il fatto è che io da sempre cerco di capire e sperimentare vie nuove ma non ci penso nemmeno di eliminare Gaio Valerio Catullo dal mio fare scuola. Lo spiego e lo faccio studiare. Con i compiti.( Sebbene un dubbio ogni tanto mi sfori – che sia davvero ridicola, senza riscatto ridicola, ora, la parola compiti, ma questo non glielo dico – lo penso soltanto.)

E decido pure di non citare il libro che ho nella borsa, perché stiamo parlando con le nostre parole e non servono quelle degli altri, ma comunque è “Il rapporto sulla scuola in Italia 2010” della Fondazione Agnelli, che dà ragione a lui e anche a me. Da’ ragione a lui quando sostiene che Nello stesso tempo fare scuola con il supporto delle ITC e della rete – fruttandone le qualità interattive – può facilitare il coinvolgimento e l’acquisizione di responsabilità da parte del discente, orientandolo verso una costruzione attiva delle proprie conoscenze e strategie di apprendimento: un “imparare facendo” (learning by doing), una pratica didattica che potrebbe sostituire “in parte il tradizionale apprendimento per via trasmissiva di nozioni.

E però pure il testo dà ragione a me quando scrive qualche pagine più in là Non solo questo però, il ruolo del docente deve, infatti, continuare a essere anche quello di curare quelle abilità cognitive che nei ragazzi rischiano di deteriorarsi per l’azione delle agenzie formative informali e spesso anche per i rischi connessi alla stessa diffusione delle IT: fra gli altri, la ricchezza e l’espressività linguistica, il pensiero logico e consequenziale, soprattutto la capacità riflessiva, che negli stili di vita dei nativi digitali trovano sovente meno occasioni di formarsi”

Chiedo ad Orazio se mi aiuta ad aprire uno spazio di discussione e un deposito di materiali, in Rete.

Io da per me sono stupida digitale, e da sola saprei realizzarlo.

Così nasce questo spazio, che si chiama, dopo trentadue anni, nell’unico modo possibile, e cioé “via Galilei n° 1”.

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